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Quando i dati personali diventano reddito: il Brasile li trasforma in moneta

I dati personali sono il nuovo petrolio: nel 2016 hanno rappresentato fino al 15% del PIL mondiale, e il suo valore cresce del 19% all’anno . In questa marea di informazioni, il Brasile prova a impiegare la propria produzione in modo differente: con dWallet, i cittadini potranno vendere consapevolmente i propri dati, incassando in prima persona.
Il Paese sudamericano ha annunciato l’avvio del progetto pilota che, per la prima volta a livello nazionale, consentirà ai cittadini di gestire, possedere e persino monetizzare la propria impronta digitale. Il progetto è frutto di una collaborazione strategica tra il settore pubblico e quello privato, vedendo protagonisti Dataprev, l’azienda statale brasiliana che fornisce soluzioni tecnologiche per i programmi sociali del governo, e DrumWave, una società californiana specializzata nella valutazione e monetizzazione dei dati personali. Questo modello ibrido, come sottolineato da Brittany Kaiser, co-fondatrice della Own Your Data Foundation e consulente di DrumWave, conferisce al progetto brasiliano maggiori probabilità di successo rispetto a iniziative simili, ma finora limitate, presenti in altri contesti, come il “dividendo delle informazioni personali” proposto in California nel 2019 e mai decollato.
Il funzionamento del “dWallet”: un conto di risparmio digitale
L’idea alla base del dWallet è rivoluzionaria nella sua semplicità: trasformare i dati generati dalle attività quotidiane degli utenti in una vera e propria risorsa economica, depositabile in un conto di risparmio. Fino ad oggi, le informazioni personali aggregate dalle aziende venivano sfruttate per informare strategie di marketing, sviluppo prodotti e analisi operative, spesso senza che gli utenti ne ricevessero alcun beneficio diretto. Il Brasile, con questa iniziativa, intende correggere quello che Rodrigo Assumpção, presidente di Dataprev, ha definito “una correzione dello squilibrio storico dell’economia digitale“.
Il progetto pilota attuale coinvolge un gruppo selezionato di brasiliani che utilizzeranno i dWallet per operazioni legate ai prestiti per buste paga. Quando un utente richiede un prestito, le informazioni relativi al contratto vengono raccolti nel portafoglio dati personali e le aziende interessate possono presentare offerte per accedervi. L’utente ha la facoltà di accettare o rifiutare l’offerta e, in caso di accettazione, il pagamento viene immediatamente accreditato nel dWallet, da cui può essere trasferito su un conto bancario tradizionale. Questa meccanica è paragonabile a una versione “monetizzata” dei cookie di terze parti: l’utente non si limita a un “accetta” o “rifiuta”, ma può scegliere di guadagnare attivamente dalla propria impronta digitale. Se la proposta di legge federale, che classifica le informazioni come proprietà personale, verrà approvata, questa partnership pubblico-privata sarà la prima a consentire ai cittadini di acquisire una quota del mercato globale dei dati, attualmente valutato a 4 miliardi di dollari e destinato a superare i 40 miliardi entro il 2034.
Vantaggi attesi e il contesto globale della monetizzazione dei dati personali
I sostenitori del progetto brasiliano evidenziano numerosi benefici. Secondo Antonielle Freitas, responsabile della privacy presso Viseu Advogados, la centralizzazione della raccolta attraverso broker regolamentati potrebbe portare a una raccolta più rapida e precisa da parte delle aziende, offrendo al contempo agli utenti maggiore chiarezza su come i loro dati verranno utilizzati. Inoltre, il governo potrebbe trarre vantaggio dalla possibilità di raccogliere informazioni anonimizzati su larga scala per migliorare e personalizzare servizi pubblici essenziali come l’assistenza sanitaria, i trasporti urbani, la sicurezza pubblica e l’istruzione.
A livello mondiale, la monetizzazione personale è un fenomeno in espansione, ma finora prevalentemente guidato dal settore privato. Colossi tecnologici come Datarade, Amazon, IBM e Microsoft hanno creato veri e propri marketplace dove set di dati personali vengono acquistati per alimentare modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) e altre applicazioni di intelligenza artificiale. Alcuni stati, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, hanno sviluppato infrastrutture governative per la commercializzazione, mentre la Cina consente alle aziende di trattarli come risorse. Le stesse Nazioni Unite hanno suggerito di includere il valore economico dei dati personali nei calcoli del PIL nazionale. Il modello brasiliano si distingue proprio per l’inedita collaborazione tra pubblico e privato, che potrebbe conferirgli una maggiore stabilità e diffusione.
I dubbi riguardo etica e divario digitale
Nonostante le prospettive entusiasmanti, il progetto dWallet solleva anche serie preoccupazioni, in particolare dagli esperti di protezione dei dati in Brasile, paese che vanta un solido quadro normativo in materia di privacy. Il timore principale è che la monetizzazione possa aumentare il prezzo, rendendoli inaccessibili a piccole aziende o enti statali con budget ridotti.
La critica più veemente, tuttavia, si concentra sulle implicazioni etiche e sociali. In un paese dove quasi tre brasiliani su dieci sono funzionalmente analfabeti e il 95% di questi ha scarse competenze digitali, la possibilità di decidere sul proprio dato a un certo prezzo diventa problematica. “Chiederemo alla metà del Paese che non sa leggere di decidere se i suoi dati possono essere acquistati,” ha dichiarato Pedro Bastos, ricercatore di Data Privacy Brazil, paventando il rischio che persone in situazioni di vulnerabilità possano essere indotte a rinunciare alla propria privacy in cambio di un pagamento immediato. A ciò si aggiunge il rischio di ampliare il divario digitale in un paese con infrastrutture digitali fragili in ampie aree rurali, dove la scarsa connettività limita la generazione di dati personali online.
Il Brasile come laboratorio del futuro digitale
Mentre altrove, come negli Stati Uniti, leggi federali sulla privacy faticano a decollare o rischiano di indebolire le tutele esistenti, il Brasile si posiziona come un laboratorio globale. la sua implementazione pratica richiederà un’attenzione meticolosa per mitigare i rischi e garantire che i benefici della monetizzazione dei dati personali siano distribuiti equamente, senza penalizzare le fasce più vulnerabili della popolazione o compromettere i principi fondamentali della privacy. Se il dWallet dovesse funzionare, non cambierà solo il rapporto tra cittadini e dati, ma l’intera grammatica economica del digitale. In un mondo dove la raccolta di informazioni personali è ormai la materia prima più ambita, l’idea che ogni individuo possa negoziare consapevolmente il proprio valore rappresenta una rottura culturale profonda. Il Brasile, con tutte le sue contraddizioni, si candida a essere il primo Paese a testare su larga scala un principio rivoluzionario: i dati non appartengono a chi li raccoglie, ma a chi li genera — e ora è tempo di farsi pagare.